Le modalità di espressione delle sessualità non ordinarie non sono riconducibili ad un uso improprio della sessualità, quanto ad una base problematica nel costruire la relazione con l’altro (Hurni e Stoll-Simona 1996). Non si tratta mai solo di una questione di sesso, quanto piuttosto, e questo vale sia per gli uomini che per le donne, di un problema che nasce nel dialogo di interconnessione tra i generi. La tematica principale che poi si esprime attraverso una particolare grammatica sessuale è strettamente legata a dinamiche di potere e di controllo sull’altro, sia che si tratti di una donna che assume il ruolo di Mistress per prendersi una rivincita sul maschile, sia che si tratti di un “seduttore seriale” che agisce l’abbandono prima di subirlo, sia che si tratti di uno slave (schiavo) che prescrive all’altro i modi in cui è lecito soffrire per ottenere una vittoria sul dolore.
Dai resoconti raccolti in psicoterapia, i costrutti che emergono con più frequenza sono quelli della potenza e dell’impotenza, del controllo e della sottomissione, della vergogna e del trionfo, della forza e della debolezza, della colpa e dell’innocenza, della purezza e della corruzione, della vittima e del carnefice. Tutto sommato, il campo semantico è estremamente arido e povero, scientemente costruito estremizzando le due principali assunzioni di ruolo presenti all’interno di qualsiasi rapporto amoroso: “Cosa devo fare per farti star bene? Cosa devi fare per farmi star bene?”. La dimensione di significato che emerge è sempre l’esercizio di un dovere espresso ora attraverso l’affermazione della volontà, ora attraverso la ricerca di una qualche forma di noluntas e atarassia. Non si intravede mai la capacità di andare oltre la separazione delle proprie solitarie individualità, ovvero di formulare l’unica domanda in grado di aprire il varco ad una comunione con l’altro, per vivere l’esperienza di una relazione d’intimità: “Cosa possiamo fare per stare bene insieme?”.
Le persone non sono mai collocate su un estremo piuttosto che sull’altro delle polarità semantiche sopraccitate, utilizzate per dare forma a queste esperienze non ordinarie della sessualità e dell’affettività. Hanno sempre posizionamenti intermedi, tanto da giustificare l’osservazione della clinica tradizionale, secondo la quale le espressioni di sadismo e masochismo sono estremamente amalgamate e mai completamente pure (Stoller, 1985; Gabbard, 2007). Detto in altri termini, danno vita a giochi dolorosi, in cui i carnefici si fanno forti della loro debolezza e le vittime si fanno deboli della loro forza.
I rituali o le sessioni all’interno delle quali viene rappresentato il gioco delle reciproche “fustigazioni” del corpo e dell’anima richiede cornici rigide, regole fisse e ruoli prestabiliti. Le anticipazioni dei partner sono inequivocabilmente organizzate e strutturate affinché – con calcolo matematico – nessun imprevisto possa contaminare la liturgia recitata sul palcoscenico dell’odio dell’amore. L’incapacità di uno dei partner di rimanere fedele ai copioni che i ruoli assegnati prescrivono comporta la pena peggiore: la fine del gioco e la negazione dell’esistenza dell’altro. Sono rituali, questi, in cui il gioco mortifero di potere e di umiliazione subita o inflitta lascia trasparire per paradosso la necessità vitale di affermare la propria esistenza. I legami che vengono a crearsi sono praticamente indissolubili, perché in definitiva lo scopo ultimo delle relazioni di “amorodio” consiste nell’esorcizzare il timore dell’abbandono attraverso la devitalizzazione di una prossimità affettiva vissuta come troppo pericolosa e disorientante. Il rischio di smarrimento dei confini identitari permette di stabilire esclusivamente rapporti vissuti “ad una certa distanza”, onde evitare la confusione tra i propri stati emotivi e quelli altrui. Inevitabilmente, l’altro viene reificato, ovverosia ridotto a oggetto, cosa o strumento. E’ sempre la conservazione di “una certa distanza” a generare le regole d’interazione e mai la ricerca della vicinanza con l’altro.
Tali dinamiche, che ad un primo sguardo possono apparire esotiche e atipiche, o quanto meno lontane da ciò che la maggior parte degli individui ritiene essere la vita di tutti i giorni, in realtà affondano le proprie radici nelle medesime matrici discorsive da cui originano anche i racconti delle storie d’amore più ordinarie. A ben vedere, soffrire per amore ed essere totalmente dediti all’amato sono tendenze esaltate dalla nostra cultura con toni romantici. Il quotidiano fornisce innumerevoli esempi di amori non ricambiati e di relazioni sofferte, glorificate ed esaltate al massimo dalle pratiche narrative sedimentate nell’immaginario collettivo che spazia dalle canzoni popolari all’opera lirica, dalla letteratura classica ai romanzi umoristici, dalle soap televisive alle produzioni cinematografiche acclamate dalla critica. Da questi modelli culturali apprendiamo che la profondità dell’amore si misura dall’intensità del dolore patito e che chi soffre davvero ama di vero amore. In tal modo, finiamo con l’accettare che la sofferenza sia una parte intrinseca e ineliminabile dell’amore, così come che la disposizione a soffrire per amore dell’amore sia un’attitudine positiva anziché negativa.
Esistono ben pochi esempi di rapporti scevri da manipolazioni, prevaricazioni e potere, probabilmente perché la trama degli scambi emotivi che connota le relazioni d’intimità è ben più sottile, elusiva e sussurrata rispetto a quella dei drammi fragorosi delle relazioni travagliate. Di solito, le loro possibilità “sceniche” vengono trascurate dalla società dello spettacolo, dalla letteratura, dal cinema e dalla musica. Immaginiamo, per esempio, di sostituirci agli sceneggiatori dei testi dei teleromanzi più seguiti e di provare a narrare una storia nuova. Nel nostro episodio tutti i personaggi comunicano tra loro in modo sincero, aperto e affettuoso. Niente bugie, niente segreti, niente inganni. Nessun abuso, nessun dominio, nessun desiderio di farsi vittima o carnefice di qualcun altro. Per un giorno, un solo giorno, gli spettatori potrebbero vedere persone impegnate in relazioni fondate sulla fiducia reciproca e su una comunicazione genuina.
Questa modalità di vivere i rapporti affettivi non solo sarebbe in netto contrasto con la forma abitualmente assunta da quei programmi, ma metterebbe anche in evidenza – per estremo e drammatico contrasto – quanto a fondo siamo pervasi dalla retorica dello sfruttamento, della manipolazione, della ricerca di rivalsa e vendetta, della deliberata induzione di gelosia, della menzogna e del ricatto, della costrizione e della sottomissione. La comparsa di un solo frammento di comunicazione d’amore e d’intimità profonda potrebbe apportare potenti cambiamenti alla natura e alla struttura di queste saghe senza fine, al pari della natura e della struttura del nostro comune modo di stare in relazione reciproca (Norwood 1985).
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